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Memoriale di Mosè sul Monte nebo iwciagr - Shutterstock

Mosè in Giordania: un esodo attraverso il Wadi e il vento

I paesaggi della Giordania custodiscono gli echi di un antico viaggio, fatto di resistenza, esilio e ricerca di qualcosa di irraggiungibile. Qui, tra i deserti rossi, gli altipiani e i wadi mutevoli, il lungo cammino di Mosè attraverso la natura selvaggia prese la svolta finale.

Seguire le sue orme significa entrare nell’ultimo tratto di un esodo, dove il viaggio stesso ha la precedenza sulla destinazione.

Aqaba: l’arrivo dal mare

Aqaba, la città più meridionale della Giordania, è il punto d’incontro tra terra e acqua. Affacciata sul Mar Rosso, è stata a lungo un crocevia di scambi e movimenti, nonché una soglia tra il conosciuto e l’ignoto. Per Mosè e i suoi seguaci, avrebbe segnato il primo passo verso una nuova terra dopo la fuga dall’Egitto.

L’attraversamento del Mar Rosso, spesso ricordato come un momento di trionfo, lasciò il posto a una realtà più dura sulle rive di Aqaba. Guardando verso l’interno, il vasto vuoto del Wadi Araba si estendeva davanti a loro, una distesa arida che rendeva la sopravvivenza la prima preoccupazione. L’esodo non finì qui: cambiò solo forma, passando dalla fuga alla resistenza, dalla fuga alla lunga sfida della natura selvaggia.

Late afternoon in Wadi Araba, Jordan
Tramonto nel Wadi Araba, Giordania

Attraverso il Wadi e il vento

Da Akaba, il viaggio proseguì verso nord, nel Wadi Araba, un paesaggio estremo. Affiancata dalle montagne di Edom e dalla Rift Valley, la valle è modellata dal tempo, dal vento e dal lento movimento di coloro che l’hanno attraversata.

È un luogo in cui la sopravvivenza è dettata dalla terra stessa, che guida i viaggiatori verso sorgenti nascoste, stretti burroni e altipiani che si alternano tra luce dorata e ombra profonda.

Questa è una geografia dell’esilio, dove il movimento è sia una necessità che un’incertezza. Nei tempi antichi, i territori di Moab ed Edom, ora parte della Giordania, erano sia barriere che punti di riferimento, determinando il percorso da seguire.

L’esodo, in questo contesto, non era un percorso unico, ma una serie di adattamenti, modellati dalle forze della natura e dalla presenza di altri che avevano da tempo chiamato questa terra casa. Camminando qui oggi, si percepisce il ritmo lento del passaggio, un pellegrinaggio definito non dalle destinazioni, ma dal paesaggio stesso.

Serpentine Cross at the top of Mount Nebo in Jordan, place where Moses viewed the Holy Land
Croce serpentina in cima al Monte Nebo in Giordania, luogo in cui Mosè vide la Terra Santa

Monte Nebo: La fine del viaggio

Sorgendo sopra l’altopiano giordano, il Monte Nebo è il luogo in cui il viaggio di Mosè giunse al termine. Non come luogo di arrivo, ma come soglia mai varcata.

Dalla sua cima, la vista si estende ben oltre la terra che Mosè avrebbe intravisto, una vasta distesa di valli e creste che si confondono all’orizzonte. Eppure il Monte Nebo non è questione di possesso, ma di ultima pausa prima dell’ignoto. A differenza dei siti di conquista o di insediamento, è un luogo finale, dove il movimento si ferma e inizia il momento del ricordo.

Per i viaggiatori di oggi, la salita al Nebo porta il peso di tutti i lunghi viaggi. È un luogo non di inizio, ma di fine, dove ci si trova al limite del movimento e si guarda indietro, non a ciò che ci aspetta, ma alla strada lasciata alle spalle.

Un esodo senza fine

Seguire le orme di Mosè in Giordania significa ripercorrere un esodo che non offre certezze, ma solo un passaggio. Aqaba è la soglia, dove il mare lascia il posto alla terra. Il Wadi Araba è il viaggio, dove il movimento diventa sopravvivenza. Il Monte Nebo è la fine, non del movimento in sé, ma di una strada particolare.

Il vento si muove ancora attraverso questi paesaggi, modellando le creste e i wadi, portando con sé gli echi di coloro che hanno percorso questo sentiero prima di noi. L’esodo non finisce mai veramente. Si sposta semplicemente, in attesa che il prossimo viaggiatore faccia il primo passo.

 

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