Intervista a Renato Di Gregorio, pioniere dell’ergonomia applicata al turismo lento
C’è chi cammina per cercare sé stesso, chi per avventura. Poi c’è chi cammina per lavoro: per migliorare l’esperienza di chi cammina. Renato Di Gregorio lo fa da oltre trent’anni. Ergonomo certificato, esperto di organizzazione, docente universitario, Di Gregorio ha portato l’ergonomia fuori dalle fabbriche e dentro i territori. Oggi coordina la Fiera Internazionale dell’Ergonomia dei Cammini e guida l’evoluzione del Turismo Slow in Italia.
Lo abbiamo intervistato per capire cosa vuol dire applicare l’ergonomia ai cammini e cosa cambia per chi li percorre.
Cos’è l’ergonomia di un cammino?
L’ergonomia nasce negli anni ‘40 per migliorare il lavoro nelle industrie. Ma da allora ha fatto molta strada. Oggi, ci spiega Di Gregorio, “l’ergonomia adotta un approccio interdisciplinare per migliorare la vivibilità dei sistemi e l’usabilità di ciò che le persone usano, anche nei viaggi.”
Un cammino è un sistema complesso: sentieri, accoglienza, segnaletica, servizi. Se tutto è progettato tenendo conto di chi cammina, allora quell’esperienza diventa davvero accessibile, piacevole e sicura.
L’obiettivo? Rendere i territori più accoglienti e i cammini più inclusivi.
Dai cammini spirituali all’ergonomia territoriale
Negli anni ’90, mentre in Italia prendeva forma la Via Francigena, Di Gregorio intuì che i cammini potevano diventare motori di sviluppo locale. Partì dalla formazione: giovani “facilitatori di cammini”, master universitari, progetti con le regioni. Il metodo era sempre lo stesso: Formazione-Intervento®, un modello che unisce didattica e cambiamento reale.
Da lì è nato un movimento. Convegni, ricerche, collaborazioni con università e amministrazioni. E nel 2024, la prima Fiera Internazionale sull’Ergonomia dei Cammini, a Cassino.
Un sistema al servizio del camminatore
Ma cosa significa, nel concreto, rendere un cammino “ergonomico”?
“Vuol dire renderlo fruibile, accogliente, ben segnato, sicuro. Vuol dire che dietro c’è stato un lavoro sul sistema,” spiega Di Gregorio. “Un camminatore lo percepisce subito: se trova aree di sosta comode, cartellonistica chiara, strutture accoglienti, mezzi pubblici integrati… vuol dire che è stato pensato per lui.”
L’ergonomia entra anche nella scelta dell’attrezzatura, nella preparazione fisica, nei percorsi differenziati per età e capacità. E nella capacità di ascoltare i bisogni reali di chi si mette in viaggio, spesso non giovani atleti, ma donne over 50 o persone con fragilità.
Tre livelli di ergonomia nei cammini
Il lavoro dell’ergonomo si sviluppa su tre piani:
- Fisico: migliorare qualità dei sentieri, attrezzature, strutture di accoglienza.
- Cognitivo: aiutare il camminatore a orientarsi, a conoscere il territorio, a sentirsi sicuro.
- Organizzativo: mettere in rete i comuni, coordinare i servizi, monitorare il percorso.
È qui che entra in gioco l’Ergonomia del Territorio, una nuova specializzazione regolata dalla norma UNI 11930 del 2024.
Una “cassetta degli attrezzi” per chi costruisce cammini
Di Gregorio non si rivolge solo ai camminatori. Il suo lavoro punta anche a trasformare chi costruisce e gestisce i cammini.
- Amministratori locali – Devono collaborare per rendere i cammini coerenti, accessibili, attraenti. Un cammino ben progettato porta turismo, valorizza il patrimonio locale, combatte lo spopolamento.
- Imprese dell’accoglienza – Vanno convinte a investire in strutture flessibili, sicure, inclusive. Servono spazi per asciugare scarpe e panni, ricoverare bici e animali, accogliere con calore. Non basta il letto spartano: serve empatia, racconto, senso del luogo.
- Produttori di attrezzature – Sono già attenti al mercato, ma l’ergonomia può guidarli a creare prodotti più inclusivi: per donne, anziani, persone con disabilità. Serve innovazione, ricerca sui materiali, attenzione ai dettagli.
Il valore dell’inclusività
Oggi, chi cammina non è solo l’escursionista esperto. I dati lo dicono chiaramente: la maggioranza sono donne, spesso over 50, e cresce il numero di chi ha bisogni speciali.
Ecco perché Di Gregorio insiste sulla personalizzazione dell’offerta. “Ogni prodotto e servizio per camminatori deve tenere conto della diversità della domanda,” dice. Non basta produrre scarpe da trekking: bisogna progettare pensando a chi le userà.
Certificare l’esperienza
L’obiettivo è ambizioso: creare un sistema di certificazione ergonomica dei cammini e dei prodotti. Una garanzia di qualità per chi parte, una guida per chi progetta.
“Solo un approccio sistemico può rendere i cammini davvero inclusivi e sostenibili,” dice Di Gregorio. Serve una comunità preparata, con raccontatori del luogo, operatori formati, e una rete di servizi coerente.
Ospitalità come cultura
La parola chiave è ospitalità. Non solo strutture, ma anche persone. Perché ciò che rende un cammino memorabile, spesso, è l’incontro.
“Chi accoglie deve sapere raccontare, capire, condividere. Deve aiutare il camminatore a entrare nel cuore del territorio,” dice Di Gregorio. L’ergonomia non dimentica l’anima.
Il futuro dei cammini
La sfida ora è scalare l’esperienza, formare nuovi esperti, costruire una massa critica di ergonomi del territorio. “La norma UNI serve proprio a questo: a certificare le competenze e a rendere possibile una trasformazione diffusa.”
Conclude con una visione chiara: “I cammini sono una risorsa per tutti. Se li progettiamo bene, possono cambiare la vita di chi li percorre… e di chi ci vive accanto.”