A metà strada tra Giaffa e Gerusalemme si estende una città che, nonostante la sua discreta presenza sulle mappe turistiche, custodisce tra le sue strade una densità di storie, culture e memorie rara perfino in Terra Santa. Ramla non è stata solo testimone del passaggio di re, profeti, mercanti e pellegrini: è ancora oggi un luogo dove il quotidiano e lo spirituale convivono con naturalezza.
Il suo nome deriva dall’arabo raml, che significa “sabbia”. Fondata tra il 705 e il 715 dal califfo omayyade Sulayman ibn Abd al-Malik, Ramla nacque come città nuova, costruita non sulle rovine di un insediamento antico, ma come centro pianificato per sostituire la vicina Lydda — oggi Lod — come capitale del distretto di Palestina. Una decisione che non fu solo strategica, ma anche simbolica e culturale: fondare una città con una vocazione all’incontro, al crocevia di mondi.
Oggi, Ramla riscopre il suo ruolo di tappa chiave lungo il Cammino a Gerusalemme, l’itinerario millenario percorso da pellegrini delle tre religioni monoteiste per raggiungere la Città Santa. Non è solo un luogo di passaggio, ma una soglia dove storia, fede e convivenza continuano a intrecciarsi.
Crocevia di cammini

Fin dalle sue origini, Ramla è stata un mosaico umano. Musulmani, cristiani, ebrei e samaritani hanno condiviso spazi, lavoro, mercati e preghiera. La sua posizione, proprio all’incrocio tra la Via Maris — l’antica rotta tra Egitto e Siria — e il cammino che collega il porto di Giaffa a Gerusalemme, la rese un passaggio obbligato per chiunque si muovesse nella regione.
Durante l’epoca delle Crociate, alcuni cristiani identificarono Ramla con l’Arimatea biblica, città d’origine di Giuseppe di Arimatea, colui che offrì la propria tomba per il corpo di Gesù. Non era un’associazione casuale: il simbolismo di una città in cui si incrociano sepolcri, profeti e percorsi sacri conferiva a Ramla un’eco devozionale molto forte per i pellegrini.
La vicinanza con Lydda, antica città cristiana dove, secondo gli Atti degli Apostoli, predicò lo stesso San Pietro, rafforza questo carattere di frontiera culturale. Lydda fu un importante centro del cristianesimo fin dall’epoca romana, e il suo declino coincise con l’ascesa di Ramla come capitale musulmana. In questo passaggio non c’è rottura, ma continuità di una tradizione spirituale che ancora oggi si respira nei sentieri che serpeggiano tra le due città.
Più di una semplice tappa
Per chi percorre il Cammino a Gerusalemme, Ramla è molto più che una fermata tra Giaffa e la Città Santa. È una città che parla non solo attraverso i suoi monumenti, ma attraverso la sua gente.
Lo racconta con emozione Ron Peled, direttore del Museo di Ramla:
“Camminare da Giaffa a Gerusalemme è come facevano le persone tremila anni fa. Non importa se sei ebreo, musulmano, cristiano o anche non religioso: è incredibile, perché è davvero un cammino antico.”
Il museo che dirige si trova nell’ex municipio, un edificio che dal 1948 ha visto i molteplici cambiamenti sociali e urbani della città. Le vetrine al suo interno non custodiscono solo monete antiche e frammenti di ceramica, ma anche le storie intrecciate di chi ha abitato questa terra.
“Il museo racconta la storia di Ramla da quando fu fondata dai musulmani nell’VIII secolo. È stata la prima città fondata dai musulmani nella Terra di Israele”, spiega Ron. “Abbiamo monete d’oro, parliamo degli ebrei, dei cristiani, dei samaritani e dei musulmani che vivevano qui allora e vivono qui anche oggi.”
Un tessuto umano vivente
Fuori dal museo, il battito di Ramla si percepisce in modo particolare nel suo mercato, che esplode di energia soprattutto il mercoledì. Nato in epoca ottomana e rinnovato sotto il mandato britannico, il mercato è diventato col tempo un punto di riferimento. Ricco di profumi, accenti, sapori e colori, riflette come pochi altri luoghi la diversità della città.
“Il mercato è a meno di 50 metri dal museo e si trova lungo il Cammino a Gerusalemme. È incredibile perché qui vedi ebrei, cristiani e musulmani insieme, e puoi mangiare di tutto”, racconta Ron. “È un mercato antico, originariamente costruito da britannici e ottomani, e forse anche prima.”

Qui il pellegrino può fermarsi non solo per comprare pane caldo o spezie aromatiche, ma anche per ascoltare. Le storie si diffondono tra le bancarelle come il fumo delle piastre. E ciò che si sente non è solo la voce dei venditori, ma la memoria collettiva di generazioni che hanno condiviso quelle mura.
Questa convivenza quotidiana ha portato molti a chiamare Ramla “una piccola Gerusalemme”. Non per la grandiosità dei suoi edifici, ma perché, su scala più intima, racchiude la stessa varietà di voci e fedi.
“Io chiamo Ramla una piccola Gerusalemme perché ha tutto quello che c’è a Gerusalemme, solo in versione ridotta”, riassume Ron Peled.

La città è una miniatura vivente del significato dell’abitare insieme. La convivenza non si predica, si vive. E si assapora davanti a una tazza di caffè condivisa.
“Ogni mattina prendo il caffè alla Grande Moschea di Ramla. Sono ebreo, frequento il Centro del Patrimonio dei caraiti — un’altra setta dell’ebraismo — e a volte bevo il caffè con Abuna Abdul Masif, il parroco della chiesa cattolica, egiziano che vive qui.”
Anche il sindaco di Ramla, Michael Vidal, concorda con questa visione in un’intervista rilasciata a PilgriMaps:
“Ramla è una città dell’ospitalità, un luogo dove persone di origini e religioni diverse vivono e lavorano insieme in armonia.”
Luogo d’incontro
Quell’ospitalità autentica è forse la parola che meglio descrive lo spirito di Ramla. Qui, quando un pellegrino chiede un’indicazione, non riceve solo una risposta: viene accompagnato. Non è una strategia turistica, è un modo d’essere.
Il sindaco Vidal lo sottolinea con chiarezza:
“Abbiamo tutte le confessioni cristiane qui: ortodossi, cattolici, copti… La moschea, la sinagoga e il monastero francescano sono sulla stessa strada. Qui la gente non dice: sono cristiano, sono musulmano, sono ebreo. La gente dice: sono di Ramla.”
Eppure, questa convivenza non è stata sempre facile. Ramla è stata per secoli teatro di tensioni e tregue, guerre e riconciliazioni, esili e ritorni. Anche di ferite recenti. Ha ospitato crociati e califfi, soldati napoleonici ed esploratori dell’Ottocento. Viaggiatori di ogni epoca — come il saggio ebreo Beniamino di Tudela (1163), il teologo domenicano svizzero Felix Fabri (1480) o il biblista americano Edward Robinson (1838) — l’hanno descritta nei loro diari.

Fu signoria in epoca crociata e città importante per gli omayyadi. Le sue strade furono percorse da Napoleone Bonaparte nel 1799 e dall’imperatore austriaco Franz Joseph nel 1869. E ancora oggi, quelle stesse vie sono calpestate da chi traccia il proprio cammino verso Gerusalemme.
Ma c’è qualcosa in questa città accogliente che continua a toccare l’anima dei pellegrini. Come dice Ron:
“Non importa se sei religioso o no, o a quale religione appartieni. Percorrere questa strada verso Gerusalemme è emozionante, è come andare in paradiso. Ti fa sorridere.”
Forse è proprio questo l’aspetto più rivelatore: anche chi non si definisce credente, lungo questo percorso sperimenta una forma di elevazione. Perché il Cammino non conduce solo a una meta geografica, ma anche a una soglia interiore, fatta di storie condivise, silenzi millenari e volti che, come quelli di Ramla, continuano a dire: “Benvenuto”.
The Way of Silence: a six-days-long hike from Jaffa to Jerusalem